giovedì 27 marzo 2008

Chi si ferma è perduto?


Ancora freddo. Ancora pioggia. Quest’inverno, sorprendente e incostante, sembra non voler finire mai. Però qualcosa di nuovo, nell’aria, forse comincia a muoversi… Ieri mattinata strana. Sono giorni di grande stanchezza: dormo male e mi sveglio distrutta. Faccio fatica ad alzarmi e ho una spossatezza addosso che, purtroppo, si ripercuote anche e soprattutto negli allenamenti che si alternano disomogenei. Questi mesi di pura energia stanno lasciando, forse e giustamente, il posto a un periodo più morbido, più low profile. Dopo la maratona di Roma non ho rallentato neppure per un giorno. Lunedì ero già a correre e domenica 29 Km a spada tratta. Il 13 aprile, mentre l'Italia sceglierà se resistere o morire, correrò la maratona di Torino; una follia per tanti, l’ennesima sfida per me. Voglio provare a giocare il tutto per tutto. Nella corsa e soprattutto nella vita. Ho intrapreso questo cammino e ormai sono in ballo… Sento che posso provare ad osare, non ho davvero nulla da perdere. Questo è il mio anno, sono libera come non lo sono mai stata e, incredibilmente, quasi felice. Per la prima volta non m’importa di nulla: dei giudizi degli altri, di deludere qualcuno o me stessa, dell’immagine sul vetro. Io da sola in una fotografia. Attimii che si raccontano, tramonti lontani, bambini che piangono, il tempo appeso sopra le nuvole…ricordi che affiorano improvvisi…
Intanto sugli alberi sono spuntati i primi fiori… poi ancora, il sole.


"When you try your best but you don't succeed
When you get what you want but not what you need
When you feel so tired but you can't sleep
Stuck in reverse

And the tears come streaming down your face
When you lose something you can't replace
When you love someone but it goes to waste
could it be worse?

Lights will guide you home
and ignite your bones
And I will try to fix you

High up above or down below
when you're too in love to let it go
but If you never try you'll never know
Just what your worth

Lights will guide you home
and ignite your bones
And I will try to fix you

Tears streaming down your face
When you lose something you cannot replace
Tears streaming down your face and I

Tears streaming down your face
I promise you I will learn from my mistakes
Tears stream down your face and I

Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you"

martedì 25 marzo 2008

Prisma


"Noi abbiamo sognato il mondo. Lo abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile, ubiquo nello spazio e fermo nel tempo; ma abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdità, per sapere che è finto."
Jorge Luis Borges

venerdì 21 marzo 2008

Cappuccino & Co.


Dopo la giornataccia di ripetute di ieri, da imputarsi sia a un calo fisico sia più presumibilmente a uno mentale, oggi è tornata prepotentemente la gioia di correre. E di farlo bene.
Questa mattina all’alba, nel palcoscenico di una Roma luminosa e silente come non la vedevo da tempo, sono uscita con addosso solo tanta umiltà e, forse, ancora un po’ di timore nell’affrontare 16 Km a 5’ tra salite (molto)impegnative e discese; tranquilli, semplici, generosi. Devo confessare che il risultato di domenica, se da una parte mi ha reso euforica e mi ha dato fiducia nelle mie reali possibilità podistiche, dall’altro mi ha inspiegabilmente terrorizzato. Leggere sul cronometro quei numeri fino a qualche mese fa veramente impensabili è stato un pugno in faccia che ancora devo metabolizzare bene. E per farlo mi serve tempo e tanta, tantissima modestia. Riprendere ad allenarmi con la solita concentrazione e allegria senza perdere di vista l’obiettivo principale: la corsa, ai miei livelli, è e deve restare solo un passatempo, una grande passione da cui acquisire forza ed entusiasmo nella vita. Nel momento in cui tutto ciò,e spero mai, dovesse passare allora vorrà dire che sarà giunto il momento di riporre le scarpe in soffitta e fermarsi per un po’.
Ma oggi c’è ancora tanto, tantissimo, infinito desiderio di sentire il cuore veloce, l’affanno del fiato, il rumore dei passi sulla strada, la musica a palla nelle orecchie, le lacrime per il vento, le gambe che volano, lo sguardo smarrito nei pensieri…Oggi tutto questo, di nuovo, non fa più paura.
E oggi, più di tutto, c’è stata la lucidità disarmante di mia nipote Carolina, 8 anni, che parlando al telefono mi ha detto: “Sai zia io mi diverto tanto quando vengo a tifare per te nelle gare. Ma c’è una cosa che proprio ancora non capisco: quando corri, ma contro chi giochi?”.

P.S. oggi, sopra ogni altra cosa, vorrei pubblicamente ringraziare una persona che mi ha accompagnato, e mi auguro abbia voglia di continuare a farlo ancora a lungo, in quest’avventura bella e tosta che è la corsa. Se ho fatto quello che ho fatto, in buona parte, è anche e soprattutto merito suo. Ma ancora di più vorrei dirgli “grazie” perché è una persona straordinaria che con discrezione e infinita naturalezza, mi è stata accanto in questi mesi in cui la mia vita ha preso una curva inaspettata che è ancora tutta da esplorare. La strada, amico mio, è appena cominciata. Andiamo, “accidentalmente”, potrebbe non finire mai…

martedì 18 marzo 2008

NON LAVATE QUESTO SANGUE


AL G8 DI GENOVA FU TORTURA, LA PIÙ VERGOGNOSA, DEGNA DI PINOCHET
QUELLA MANO APERTA FINO ALL’OSSO, LA TESTA SPINTA CONTRO IL MURO
TUTTE LE VIOLENZE RICOSTRUITE AL PROCESSO DA PIÙ DI 300 TESTIMONI
Giuseppe D’Avanzo per la Repubblica

C’era anche un carabiniere "buono", quel giorno. Molti "prigionieri" lo ricordano. "Giovanissimo". Più o meno ventenne, forse "di leva". Altri l'hanno in mente con qualche anno in più. In tre giorni di "sospensione dei diritti umani", ci sono stati dunque al più due uomini compassionevoli a Bolzaneto, tra decine e decine di poliziotti, carabinieri, guardie di custodia, poliziotti carcerari, generali, ufficiali, vicequestori, medici e infermieri dell'amministrazione penitenziaria.

Appena poteva, il carabiniere "buono" diceva ai "prigionieri" di abbassare le braccia, di levare la faccia dal muro, di sedersi. Distribuiva la bottiglia dell'acqua, se ne aveva una a disposizione. Il ristoro durava qualche minuto. Il primo ufficiale di passaggio sgridava con durezza il carabiniere tontolone e di buon cuore, e la tortura dei prigionieri riprendeva.

Tortura. Non è una formula impropria o sovrattono. Due anni di processo a Genova hanno documentato - contro i 45 imputati - che cosa è accaduto a Bolzaneto, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile della polizia di Stato nei giorni del G8, tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001, a 55 "fermati" e 252 arrestati. Uomini e donne. Vecchi e giovani. Ragazzi e ragazze. Un minorenne. Di ogni nazionalità e occupazione; spagnoli, greci, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, neozelandesi, tre statunitensi, un lituano.

Studenti soprattutto e disoccupati, impiegati, operai, ma anche professionisti di ogni genere (un avvocato, un giornalista...). I pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno detto, nella loro requisitoria, che "soltanto un criterio prudenziale" impedisce di parlare di tortura. Certo, "alla tortura si è andato molto vicini", ma l'accusa si è dovuta dichiarare impotente a tradurre in reato e pena le responsabilità che hanno documentato con la testimonianza delle 326 persone ascoltate in aula.

Il reato di tortura in Italia non c'è, non esiste. Il Parlamento non ha trovato mai il tempo - né avvertito il dovere in venti anni - di adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani, alla Convenzione dell'Onu contro la tortura, ratificata dal nostro Paese nel 1988. Esistono soltanto reatucci d'uso corrente da gettare in faccia agli imputati: l'abuso di ufficio, l'abuso di autorità contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell'indulto (nessuna detenzione, quindi) e colpe che, tra dieci mesi (gennaio 2009), saranno prescritte (i tempi della prescrizione sono determinati con la pena prevista dal reato).

Come una goccia sul vetro, penosamente, le violenze di Bolzaneto scivoleranno via con una sostanziale impunità e, quel che è peggio, possono non lasciare né un segno visibile nel discorso pubblico né, contro i colpevoli, alcun provvedimento delle amministrazioni coinvolte in quella vergogna. Il vuoto legislativo consentirà a tutti di dimenticare che la tortura non è cosa "degli altri", di quelli che pensiamo essere "peggio di noi". Quel "buco" ci permetterà di trascurare che la tortura ci può appartenere. Che - per tre giorni - ci è già appartenuta.

Nella prima Magna Carta - 1225 - c'era scritto: "Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua indipendenza, messo fuori legge, esiliato, molestato in qualsiasi modo e noi non metteremo mano su di lui se non in virtù di un giudizio dei suoi pari e secondo la legge del paese". Nella nostra Costituzione, 1947, all'articolo 13 si legge: "La libertà personale è inviolabile. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà"

La caserma di Bolzaneto oggi non è più quella di ieri. Con un'accorta gestione, si sono voluti cancellare i "luoghi della vergogna", modificarne anche gli spazi, aprire le porte alla città, alle autorità cittadine, civili, militari, religiose coltivando l'idea di farne un "Centro della Memoria" a ricordo delle vittime dei soprusi. C'è un campo da gioco nel cortile dove, disposti su due file, i "carcerieri" accompagnavano l'arrivo dei detenuti con sputi, insulti, ceffoni, calci, filastrocche come "Chi è lo Stato? La polizia! Chi è il capo? Mussolini!", cori di "Benvenuti ad Auschwitz".

Dov'era il famigerato "ufficio matricole" c'è ora una cappella inaugurata dal cardinale Tarcisio Bertone e nei corridoi, dove nel 2001 risuonavano grida come "Morte agli ebrei!", ha trovato posto una biblioteca intitolata a Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume italiana, ucciso nel campo di concentramento di Dachau per aver salvato la vita a 5000 ebrei.

Quel giorno, era venerdì 20 luglio, l'ambiente è diverso e il clima di piombo. Dopo il cancello e l'ampio cortile, i prigionieri sono sospinti verso il corpo di fabbrica che ospita la palestra. Ci sono tre o quattro scalini e un corridoio centrale lungo cinquanta metri. È qui il garage Olimpo. Sul corridoio si aprono tre stanze, una sulla sinistra, due sulla destra, un solo bagno. Si è identificati e fotografati. Si è costretti a firmare un prestampato che attesta di non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato. O il consolato, se stranieri (agli stranieri non si offre la traduzione del testo).

A una donna, che protesta e non vuole firmare, è mostrata la foto dei figli. Le viene detto: "Allora, non li vuoi vedere tanto presto...". A un'altra che invoca i suoi diritti, le tagliano ciocche di capelli. Anche H. T. chiede l'avvocato. Minacciano di "tagliarle la gola". M. D. si ritrova di fronte un agente della sua città. Le parla in dialetto. Le chiede dove abita. Le dice: "Vengo a trovarti, sai". Poi, si è accompagnati in infermeria dove i medici devono accertare se i detenuti hanno o meno bisogno di cure ospedaliere. In un angolo si è, prima, perquisiti - gli oggetti strappati via a forza, gettati in terra - e denudati dopo. Nudi, si è costretti a fare delle flessioni "per accertare la presenza di oggetti nelle cavità".

Nessuno sa ancora dire quanti sono stati i "prigionieri" di quei tre giorni e i numeri che si raccolgono - 55 "fermati", 252 "arrestati" - sono approssimativi. Meno imprecisi i "tempi di permanenza nella struttura". Dodici ore in media per chi ha avuto la "fortuna" di entrarvi il venerdì. Sabato la prigionia "media" - prima del trasferimento nelle carceri di Alessandria, Pavia, Vercelli, Voghera - è durata venti ore. Diventate trentatré la domenica quando nella notte tra 1.30 e le 3.00 arrivano quelli della Diaz, contrassegnati all'ingresso nel cortile con un segno di pennarello rosso (o verde) sulla guancia.

È saltato fuori durante il processo che la polizia penitenziaria ha un gergo per definire le "posizioni vessatorie di stazionamento o di attesa". La "posizione del cigno" - in piedi, gambe divaricate, braccia alzate, faccia al muro - è inflitta nel cortile per ore, nel caldo di quei giorni, nell'attesa di poter entrare "alla matricola". Superati gli scalini dell'atrio, bisogna ancora attendere nelle celle e nella palestra con varianti della "posizione" peggiori, se possibile. In ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati con laccetti dietro la schiena o nella "posizione della ballerina", in punta di piedi.

Nelle celle, tutti sono picchiati. Manganellate ai fianchi. Schiaffi alla testa. La testa spinta contro il muro. Tutti sono insultati: alle donne gridato "entro stasera vi scoperemo tutte"; agli uomini, "sei un gay o un comunista?" Altri sono stati costretti a latrare come cani o ragliare come asini; a urlare: "viva il duce", "viva la polizia penitenziaria". C'è chi viene picchiato con stracci bagnati; chi sui genitali con un salame, mentre steso sulla schiena è costretto a tenere le gambe aperte e in alto: G. ne ricaverà un "trauma testicolare". C'è chi subisce lo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi patisce lo spappolamento della milza.

A. D. arriva nello stanzone con una frattura al piede. Non riesce a stare nella "posizione della ballerina". Lo picchiano con manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano "di rompergli anche l'altro piede". Poi, gli innaffiano il viso con gas urticante mentre gli gridano. "Comunista di merda". C'è chi ricorda un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di "non picchiarlo sulla gamba buona". I. M. T. lo arrestano alla Diaz. Gli viene messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto del martello. Ogni volta che prova a toglierselo, lo picchiano.

B. B. è in piedi. Gli sbattono la testa contro la grata della finestra. Lo denudano. Gli ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano ancora, un carabiniere gli grida: "Ti piace il manganello, vuoi provarne uno?". S. D. lo percuotono "con strizzate ai testicoli e colpi ai piedi". A. F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: "Troia, devi fare pompini a tutti", "Ora vi portiamo nei furgoni e vi stupriamo tutte".

S. P. viene condotto in un'altra stanza, deserta. Lo costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano. J. H. viene picchiato e insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è costretto a spogliarsi nudo e "a sollevare il pene mostrandolo agli agenti seduti alla scrivania". J. S., lo ustionano con un accendino.

Ogni trasferimento ha la sua "posizione vessatoria di transito", con la testa schiacciata verso il basso, in alcuni casi con la pressione degli agenti sulla testa, o camminando curvi con le mani tese dietro la schiena. Il passaggio nel corridoio è un supplizio, una forca caudina. C'è un doppia fila di divise grigio-verdi e blu. Si viene percossi, minacciati.

In infermeria non va meglio. È in infermeria che avvengono le doppie perquisizioni, una della polizia di Stato, l'altra della polizia penitenziaria. I detenuti sono spogliati. Le donne sono costrette a restare a lungo nude dinanzi a cinque, sei agenti della polizia penitenziaria. Dinanzi a loro, sghignazzanti, si svolgono tutte le operazioni. Umilianti. Ricorda il pubblico ministero: "I piercing venivano rimossi in maniera brutale. Una ragazza è stata costretta a rimuovere il suo piercing vaginale con le mestruazioni dinanzi a quattro, cinque persone". Durante la visita si sprecano le battute offensive, le risate, gli scherni.

P. B., operaio di Brescia, lo minacciano di sodomizzazione. Durante la perquisizione gli trovano un preservativo. Gli dicono: "E che te ne fai, tanto i comunisti sono tutti froci". Poi un'agente donna gli si avvicina e gli dice: "È carino però, me lo farei". Le donne, in infermeria, sono costrette a restare nude per un tempo superiore al necessario e obbligate a girare su se stesse per tre o quattro volte. Il peggio avviene nell'unico bagno con cesso alla turca, trasformato in sala di tortura e terrore. La porta del cubicolo è aperta e i prigionieri devono sbrigare i bisogni dinanzi all'accompagnatore. Che sono spesso più d'uno e ne approfittano per "divertirsi" un po'.

Umiliano i malcapitati, le malcapitate. Alcune donne hanno bisogno di assorbenti. Per tutta risposta viene lanciata della carta da giornale appallottolata. M., una donna avanti con gli anni, strappa una maglietta, "arrangiandosi così". A. K. ha una mascella rotta. L'accompagnano in bagno. Mentre è accovacciata, la spingono in terra. E. P. viene percossa nel breve tragitto nel corridoio, dalla cella al bagno, dopo che le hanno chiesto "se è incinta". Nel bagno, la insultano ("troia", "puttana"), le schiacciano la testa nel cesso, le dicono: "Che bel culo che hai", "Ti piace il manganello".

Chi è nello stanzone osserva il ritorno di chi è stato in bagno. Tutti piangono, alcuni hanno ferite che prima non avevano. Molti rinunciano allora a chiedere di poter raggiungere il cesso. Se la fanno sotto, lì, nelle celle, nella palestra. Saranno però picchiati in infermeria perché "puzzano" dinanzi a medici che non muovono un'obiezione. Anche il medico che dirige le operazioni il venerdì è stato "strattonato e spinto".

Il giorno dopo, per farsi riconoscere, arriva con il pantalone della mimetica, la maglietta della polizia penitenziaria, la pistola nella cintura, gli anfibi ai piedi, guanti di pelle nera con cui farà poi il suo lavoro liquidando i prigionieri visitati con "questo è pronto per la gabbia". Nel suo lavoro, come gli altri, non indosserà mai il camice bianco. È il medico che organizza una personale collezione di "trofei" con gli oggetti strappati ai "prigionieri": monili, anelli, orecchini, "indumenti particolari". È il medico che deve curare L. K.

A L. K. hanno spruzzato sul viso del gas urticante. Vomita sangue. Sviene. Rinviene sul lettino con la maschera ad ossigeno. Stanno preparando un'iniezione. Chiede: "Che cos'è?". Il medico risponde: "Non ti fidi di me? E allora vai a morire in cella!". G. A. si stava facendo medicare al San Martino le ferite riportate in via Tolemaide quando lo trasferiscono a Bolzaneto. All'arrivo, lo picchiano contro un muretto. Gli agenti sono adrenalinici. Dicono che c'è un carabiniere morto. Un poliziotto gli prende allora la mano. Ne divarica le dita con due mani. Tira. Tira dai due lati. Gli spacca la mano in due "fino all'osso". G. A. sviene. Rinviene in infermeria. Un medico gli ricuce la mano senza anestesia. G. A. ha molto dolore. Chiede "qualcosa". Gli danno uno straccio da mordere. Il medico gli dice di non urlare.

Per i pubblici ministeri, "i medici erano consapevoli di quanto stava accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti e hanno omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria".

Non c'è ancora un esito per questo processo (arriverà alla vigilia dell'estate). La sentenza definirà le responsabilità personali e le pene per chi sarà condannato. I fatti ricostruiti dal dibattimento, però, non sono più controversi. Sono accertati, documentati, provati. E raccontano che, per tre giorni, la nostra democrazia ha superato quella sempre sottile ma indistruttibile linea di confine che protegge la dignità della persona e i suoi diritti.

È un'osservazione che già dovrebbe inquietare se non fosse che - ha ragione Marco Revelli a stupirsene - l'indifferenza dell'opinione pubblica, l'apatia del ceto politico, la noncuranza delle amministrazioni pubbliche che si sono macchiate di quei crimini appaiono, se possibile, ancora più minacciose delle torture di Bolzaneto.

Possono davvero dimenticare - le istituzioni dello Stato, chi le governa, chi ne è governato - che per settantadue ore, in una caserma diventata lager, il corpo e la "dimensione dell'umano" di 307 uomini e donne sono stati sequestrati, umiliati, violentati? Possiamo davvero far finta di niente e tirare avanti senza un fiato, come se i nostri vizi non fossero ciclici e non si ripetessero sempre "con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l'etica, con l'identica allergia alla coerenza"?

lunedì 17 marzo 2008

Maratona di Roma 2008, impossible is nothing


3 ore 41 minuti. Che dire? Una domenica che non dimenticherò mai. E non solo per la prestazione sportiva, per me, assolutamente straordinaria (circa 10 minuti meno del tempo previsto!) ma anche e soprattutto per le emozioni fortissime che mi ha voluto e saputo regalare.
La giornata, ideale da un punto di vista climatico per correre (vale a dire nuvolosa e fresca), è iniziata presto;dopo la doccia e una colazione veloce alle 7 ero già per strada pronta per raggiungere l’area di partenza dov’era previsto il raduno con tutta la squadra. Dopo un’oretta di riti di preparazione tra cui sincronizzazione del cronometro, posizionamento del pettorale e del chip, impostazione dell’i pod, giochi stupidi per scaricare la tensione e quant’altro, ecco che alle 8 è scattata l’immancabile foto della mitica Astra che ha immortalato gli atleti temerari pronti ad affrontare, chi per la prima volta chi per la quattordicesima, la più bella maratona del mondo.
L’atmosfera tutto intorno alla zona della Colosseo era veramente elettrizzante. Quasi 15.000 atleti, professionisti e non, provenienti da ogni parte del mondo, erano lì riuniti con un unico grande sogno: tagliare il traguardo del 42esimo chilometro. Uno spettacolo bellissimo se si considera la folla di spettatori e gli oltre 65.000 partecipanti alla stracittadina. Verso le 8.45 ci siamo avviati verso le gabbie di partenza con il cuore che batteva forte e le mille paure che attanagliavano la mente: sarò pronta?Saranno bastati questi mesi di preparazione per finire la gara nel tempo previsto?Avrò la tanto temuta crisi del 30esimo Km?. Io ho corso con un braccialetto rosso per ricordare,unica ombra negativa sopra un giorno tanto magico, i monaci birmani vessati da una dittatura feroce e soprattutto quelli tibetani repressi e uccisi dal governo cinese.
Quando lo sparo di via è partito stavo ancora pensando al percorso e a quanto alcune strade che mi salutano ogni mattina durante gli allenamenti, mi sarebbero apparse ostili e sconosciute dopo quella miriade di chilometri. L’avvio è stato, come sempre succede a Roma, lentissimo. La fiumana di gente c’ha messo quasi 3 Km a diradarsi permettendo finalmente a tutti di prendere il ritmo giusto. Il mio era quello di 5’30” al Km che è però sceso, dal quarto in poi ad un 5’20” costante suscitando il fastidio e il rimprovero dei corridori più esperti che mi suggerivano una gara più prudente per non disperdere le energie. Sapevo, aumentando la velocità, che stavo facendo la cosa giusta perché mi sentivo veramente in gran forma. I primi 27 Km sono letteralmente volati, tra chiacchiere e risate con Claudio il mio inseparabile compagno di avventure podistiche e i maratoneti più allegri intorno pronti a scherzare e a godersi una città ancora abbastanza addormentata. La partecipazione del pubblico (fatta eccezione per gli stranieri sempre calorosissimi),all’inizio, è stata decisamente modesta. Mi aspettavo, passando per la prima volta anche dentro Testaccio, un’accoglienza più affettuosa, una romanità verace che purtroppo è mancata. Non c’è niente da fare, l’Italia ancora non è pronta per la cultura di un qualsiasi altro sport che non sia il calcio. E questo, ahimè, è un grosso peccato forse l’ennesima occasione mancata per un paese tanto bello quanto letteralmente fossilizzato sulle sue tradizioni. Cmq l’incitamento, alla fine, me lo sono dato da sola cantando e ridendo un po’ con tutti!
All’altezza del 27esimo, dov’era posizionato lo spugnaggio della mia squadra (mitici!), ho capito che potevo osare di più. Avevo condotto fino a quel momento una gara molto trattenuta perchè, dopo l’esperienza di Firenze, avevo veramente il terrore del muro. Ma sapevo anche che questa volta era diverso;mi ero allenata con costanza, ero serena e di testa veramente forte. A quel punto le 3 ore e 45 non mi sembravano più un’impresa impossibile ma una concreta possibilità e allora ho lasciato che le gambe andassero…Passo dopo passo ho iniziato a superare i pali che segnavano il chilometraggio al ritmo di 5’e stavo sempre bene. Quando poi, al 33esimo, ho superato le lepri delle 3h45min ho capito che potevo farcela. Che quella gara, quella giornata, la gente intorno che gridava il mio nome, piazza Navona, Fontana di Trevi, piazza del Popolo e tutta la città erano mie e correvano con me come mai avevano fatto prima. Ho spento il cervello e mi sono fatta portare. Gli ultimi chilometri li ho corsi a 4’50”e mai, tranne l’ultima salita, ho avuto un dolore o una sensazione di fatica segno evidente che avevo dosato le forze in maniera ottimale. Una gara consapevole, partita un pò in sordina ma con una progressione finale degna di una corritrice esperta! Ma il momento più bello,quello più commuovente e più vero, quello per cui amo questo sport sopra ogni altra cosa, è arrivato al 41esimo Km. Sulla curva tra il Circo Massimo e il viale che conduce al Colosseo sono stata letteralmente agganciata da Roberto,un mio compagno di squadra (un vero campione) che mi ha trascinato con passione, grinta e solidarietà rare fino alla fine. Per tutto l’ultimo chilometro, che è in assoluto il più duro perché in pendenza e con i sanpietrini, è stato lì a correre con me, a gridarmi che stavo facendo un tempo grandioso a incitarmi a dare tutto quello che avevo e anche di più. Gli ultimi 200 metri, con la folla che esulta festante, il Colosseo che ti sorride imponente e via dei Fori Imperiali che sembra aspettarti da sempre li porterò nel cuore per tutta la vita.
Quando ho attraversato il traguardo con le braccia al cielo, ubriaca fradicia di felicità, finalmente l’ho vista: Roma era lì, meravigliosa e infinita e, almeno per un giorno, letteralmente ai miei piedi…

sabato 15 marzo 2008

Senza parole



Ci siamo, domani è il grande giorno...
Niente più parole, sensazioni, pronostici, idee, sogni. Domani si corre.
E si fa sul serio.

"E ho guardato dentro un'emozione
e ci ho visto dentro tanto amore
che ho capito perché non si comanda al cuore.

E va bene così...
senza parole... senza parole...
E va bene così, senza parole
E va bene così, senza parole...
E va bene così..."

giovedì 13 marzo 2008

Rosso di sera bel tempo si spera


Quello che sta succedendo in Birmania, il perpetrarsi delle vessazioni nei confronti dei monaci e di chiunque si opponga al potere di una delle dittature militari più violente del mondo, non può e non deve lasciarci indifferenti. Ma soprattutto non deve essere ricordato solo ed esclusivamente quando a salire alla ribalta dei media sono morti e scontri brutali. E’ una tragedia che permane e che abbiamo il dovere di tenere a mente sempre, perché la libertà è un diritto inalienabile e i monaci birmani non sono così lontani come sembrano. Sono anzi vicinissimi al futuro dell’Europa, alla nostra identità e ai nostri interessi. E’ per questo che domenica correrò la maratona di Roma con una fascetta rossa al braccio, per rendere onore a questi maestri di spiritualità coraggiosi.
Perché, in qualche modo, quei monaci marcino anche nelle nostre strade.


“...Come tutte le dittature, quella birmana non ama i giornalisti e la copia dell'unico quotidiano stampato qui, che mi viene consegnata con la chiave della camera nello Strand Hotel, ha un editoriale che attacca ‘le false informazioni messe in giro da certi corrispondenti stranieri che, sotto mentite spoglie, s'infiltrano nel Paese e che il popolo birmano ha il dovere di scovare". Sono uno di quelli. Per ottenere un visto ho mentito sulla mia professione, per essere aggregato a un gruppo di turisti ho pagato una cifra esorbitante. Poi, una volta qui, con qualche dollaro in più, mi sono comprato un po' di libertà di movimento e, grazie all'aiuto di tanti normali birmani, tutt'altro che interessati a denunciarmi, ho cercato di gettare uno sguardo dietro la facciata di ordine e pulizia che la dittatura militare ha messo in piedi per turlupinare il mondo.”

Tiziano Terzani “In Asia”, Birmania 1991

martedì 11 marzo 2008

Più in basso di così...


E’ di ieri la “drammatica” notizia della candidatura (se ne sentiva proprio l’esigenza!) nelle file del partito delle libertà di Giuseppe Ciarrapico, il “Re delle acque minerali” noto per le sue dichiarate simpatie fasciste.
Ed ecco che si scatena un'accorata polemica su un’ideologia anacronistica che fa discutere ma forse fa ancora un po’ paura.
Ma esiste davvero in Italia un neofascismo strutturato, politicamente parlando?
In realtà, nel dopoguerra, il neofascismo politico-intellettuale ha ruotato intorno a due grandi filoni: quello del fascismo-regime e quello del fascismo-rivoluzione. Tra i primi vi erano gli ammiratori del fascismo delle “grandi" opere; tra i secondi gli entusiasti seguaci del fascismo delle “grandi" parole d’ordine rivoluzionarie. I primi, scomparsi dopo la guerra, si riaffacciarono in altri schieramenti o nello stesso Movimento Sociale dopo un periodo di purgatorio; i secondi scelsero invece di combattere e morire a Salò in nome del socialismo nazionale. Ora, Giuseppe Ciarrapico appartiene indubbiamente alla cultura del fascismo-regime. I suoi rimpianti sembrano essere tutti per lo stereotipo dei treni che con Mussolini giungevano sempre in orario. Una posizione, tutto sommato innocua, e perciò gradita a Berlusconi. Anche perché si tratta di quell’atteggiamento della “lamentela” in buona sintonia con una certa base elettorale moderata ma con viva nostalgia per le "opere" del regime fascista. Un elettore che prima votava Movimento Sociale, dopo Alleanza Nazionale e che ora si appresta a scegliere il riciclato Partito della Libertà. Perciò Ciarrapico rappresenta una linea di continuità elettorale (e di consenso), passando per il Movimento Sociale e Alleanza Nazionale, con il fascismo-regime. Però, in questo modo, si continua a coccolare un elettore, che pur essendo di destra, coltiva simpatie autoritarie e in fondo poco democratiche. Il che è un male per l’evoluzione politica della destra conservatrice italiana ma soprattutto per quella democratica del nostro paese.
Ben diversa è la sorte degli intellettuali, pochi in verità, che continuano a muoversi nell’alveo del fascismo-rivoluzione, ai quali Fini si è ben guardato dall' offrire un seggio parlamentare. E a maggior ragione neppure Berlusconi. Si pensi qui alla sorte di un prestigioso intellettuale come Giano Accame: più anziano di Ciarrapico ma da sempre, e con l’intelligenza dello storico, sulle posizioni del fascismo rivoluzionario, quello “immenso e rosso”, per citare il titolo di un suo libro.
In conclusione, perché stupirsi se Berlusconi ha cooptato Giuseppe Ciarrapico mentre Fini si è ben guardato dal candidare un intellettuale scomodo come Giano Accame? Ciarrapico è in perfetta sintonia con il moderatismo qualunquista del Partito della Libertà, mentre Giano Accame non lo era, non lo è, e neppure mai lo sarà.
Tra i due fascismi - perché così hanno ragionato Berlusconi e Fini - è sempre preferibile quello più malleabile dei “treni in orario”. E poi può portare voti.
E - dimenticavo - la nascita di una destra democratica? Per ora, non è in agenda.

lunedì 10 marzo 2008

Rotolando verso sud


Fine settimana senza regole...sabato ho corso l'ultimo "lunghetto", 22 Km circa, veramente male. Cambi di ritmo continui, testa per aria, salite inutili.
Ieri 10 Km a ladispoli, 44 minuti di affanno ininterrotto.
Mancano 6 giorni alla maratona e io invece di concentrare tutto che faccio? Perdo la testa e ho quasi voglia di andar via...

giovedì 6 marzo 2008

La terra promessa


Ogni volta che si legge quel che sono costretti a subire i palestinesi di Gaza, cadono veramente le braccia. E cresce in noi la sensazione di completa impotenza. E soprattutto di scetticismo verso la possibilità di un'equa soluzione dell'intera questione. Ormai, crediamo, politicamente infilatasi nel vicolo cieco della repressione e della violenza.
Sappiamo di non dire nulla di nuovo, ma probabilmente la causa dello stallo è legata all' alleanza, praticamente di ferro, tra Stati Uniti e Israele. E soprattutto alla volontà americana di non contraddire mai il principale alleato in Medio Oriente. Mentre l’Europa, per parte sua, si è finora limitata a restare alla finestra, cercando con qualche misura, priva però di rilievo politico, di non inimicarsi al tempo stesso israeliani, palestinesi e americani. Una scelta veramente deprimente: di pura sopravvivenza politica.
Pertanto, ed è inutile girarvi intorno, si tratta di un problema di (grande) politica estera e di alleanze strategiche globali. E fino a quando gli Stati Uniti non faranno pressione diretta su Israele, per giungere a una pace non lesiva dei diritti palestinesi, e l’Europa continuerà ad accodarsi alle scelte americane, Gaza e gli altri territori somiglieranno sempre più a un’autentica polveriera.
Certo, si può intervenire in chiave umanitaria, cercando di aiutare le popolazioni palestinesi, almeno a sopravvivere… Ma la questione di fondo difficilmente cambierà. Anche perché la repressione israeliana favorisce l’escalation politica delle correnti più estremiste all’interno del movimento palestinese, e non solo. Di qui quella crescente spirale di odio reciproco, già abbondantemente in atto, che non promette nulla di buono per il futuro.
Che cosa potrebbe fare l’Europa? Due le possibilità.
O agire direttamente. Come dire, in modo autonomo. Tuttavia qualsiasi concreta politica filo-palestinese verrebbe subito intesa dagli alleati americani e da Israele come un atto ostile. E l’Europa, attualmente, è in condizione di sopportare, anche economicamente, le conseguenze di una rottura con gli Usa? Anche perché, se optasse decisamente per i palestinesi, dovrebbe poi cercare di appoggiarsi ad altre sponde geopolitiche fidate. Ma quali?
O agire indirettamente, cercando di fare pressione sugli Stati Uniti, attraverso le vie della politica e della diplomazia. E poi sperare che gli Usa, a loro volta, eccetera, eccetera. Ma l’Europa, attualmente, è in grado di esercitare anche la minima pressione sugli americani? Attenzione, parliamo dell’Europa, così com’è oggi: un’entità geopolitica, istituzionalmente ancora in progress, e incapace perciò di minacciare chicchesía, anche solo velatamente. E che sul piano economico per bocca di Trichet, spera nel rafforzamento del dollaro...
Un vicolo cieco. Con i palestinesi di Gaza che vivono ormai in stato di segregazione. E gli israeliani, soprattutto gli attuali governanti di destra, che credono solo nell’uso della forza e della repressione. E tutti gli altri a guardare... Ecco, i requisti per un'altra tragedia storica ci sono tutti, proprio tutti.

mercoledì 5 marzo 2008

Abbracciami se vuoi


Cade la pioggia e tutto lava
cancella le mie stesse ossa
Cade la pioggia e tutto casca
e scivolo sull’acqua sporca
Si, ma a te che importa poi
rinfrescati se vuoi
questa mia stessa pioggia sporca
Dimmi a che serve restare
lontano in silenzio a guardare
la nostra passione che muore in un angolo e
non sa di noi
non sa di noi
non sa di noi
Cade la pioggia e tutto tace
lo vedi sento anch’io la pace
Cade la pioggia e questa pace
è solo acqua sporca e brace
c’è aria fredda intorno a noi
abbracciami se vuoi
questa mia stessa pioggia sporca
Dimmi a che serve restare
lontano in silenzio a guardare
la nostra passione che muore in un angolo
E dimmi a che serve sperare
se piove e non senti dolore
come questa mia pelle che muore
che cambia colore
che cambia l’odore
Tu dimmi poi che senso ha ora piangere
piangere addosso a me
che non so difendere questa mia brutta pelle
così sporca
tanto sporca
com'è sporca
questa pioggia sporca
Si ma tu non difendermi adesso
tu non difendermi adesso
tu non difendermi
piuttosto torna a fango si ma torna
E dimmi che serve restare
lontano in silenzio a guardare
la nostra passione non muore
ma cambia colore
tu fammi sperare
che piove e senti pure l’odore
di questa mia pelle che è bianca
e non vuole il colore
non vuole il colore
no..
no..
La mia pelle è carta bianca per il tuo racconto
scrivi tu la fine
io sono pronto
non voglio stare sulla soglia della nostra vita
guardare che è finita
nuvole che passano e scaricano pioggia come sassi
e ad ogni passo noi dimentichiamo i nostri passi
la strada che noi abbiamo fatto insieme
gettando sulla pietra il nostro seme
a ucciderci a ogni notte dopo rabbia
gocce di pioggia calde sulla sabbia
amore, amore mio
questa passione passata come fame ad un leone
dopo che ha divorato la sua preda ha abbandonato le ossa agli avvoltoi
tu non ricordi ma eravamo noi
noi due abbracciati fermi nella pioggia
mentre tutti correvano al riparo
e il nostro amore è polvere da sparo
il tuono è solo un battito di cuore
e il lampo illumina senza rumore
e la mia pelle è carta bianca per il tuo racconto
ma scrivi tu la fine
io sono pronto

Ma dove vai?

Quando penso a quante persone, energie, momenti sottraggo del tempo per andare a correre, a volte, mi chiedo se abbia senso. Svegliarsi la mattina all’alba, quando la città ancora dorme, vestirsi velocemente e immergersi nella penombra della strada soli con i propri pensieri che passo dopo passo prendono forma sempre più lucidi e inesorabili.
Rinunciare all’ozio, nel fine settimana, perché le gambe chiedono velocità, aria, vita. Adeguare i ritmi delle giornate alle sensazioni del corpo limitando, in talune occasioni, le uscite notturne, i bagordi festivi, gli stravizi e persino il modo di vestire. Ritrovarsi in un pomeriggio qualunque a pensare che manca poco a una gara. E sentire un brivido lungo la schiena. Pensare subito dopo che è stupido, che ovviamente la storia non è tutta qui. Nel bene e nel male affrontare una passione con equilibrio, pacatezza, ragionevole senso del distacco.
Ma la corsa, per me, è un grande amore e come tale porta con sé quel briciolo d’inconsapevole follia che mi fa perdere la testa e ogni giorno mi prende e mi porta via.

No surrender


Ho volontariamente fatto passare del tempo prima di scrivere qualcosa sul lungo di domenica perché avevo, e ancora ho, bisogno di capire alcune cose importanti. E’stato un test decisivo quello sugli ultimi 32 Km prima della maratona di Roma ma sento che il mio fisico mi sta un po’ abbandonando. Il ritmo era buono, non straordinario ma sicuramente corrispondente alle aspettative. La giornata meravigliosa, con la città più bella del mondo che si apriva al passaggio dei tantissimi runners che si sono ritrovati ad attraversare le strade che tra meno di due settimane li vedranno contendersi un traguardo di gloria. Diversamente dall’ultimo allenamento, questa volta le 3 ore sono passate molto velocemente, segno evidente che la testa è in condizioni perfette (almeno lì…) e questo mi ha dato una grande carica. Le gambe giravano con facilità fatta eccezione per un paio di chilometri intorno al 24esimo in cui ho avuto una piccola crisi legata anche a un forte dolore al fegato che mi sta accompagnando da qualche tempo e che spero non mi sorprenda in gara. L’ultimo tratto, sulle sponde di un Tevere distratto e un po’ stanco, è stato però una grande rivelazione. Ho smesso di chiacchierare e ho cominciato a porre l’attenzione solo sul movimento: la realtà attorno è scomparsa per quasi mezz’ora lasciando il posto a un 5’10” al Km che andava da solo. Sorpassato Ponte Sisto ci siamo fermati ma devo ammettere che sarei andata avanti ancora un po’senz’alcun tipo di sforzo, anzi.
Una valutazione positiva senza dubbio quella che riservo a questo fine settimana da un punto di vista sportivo, un po’ meno per quanto riguarda il resto. C’è una grande confusione dentro di me e non ho ancora capito se faccio bene ad assecondarla o se invece dovrei provare a fermarmi un attimo e cercare di rimettere a posto tutto.
Ma adesso è tempo di stringere i denti e buttarsi nella mischia…il cuore è in sussulto e il 16 marzo, al via, saremo quasi quindicimila!

"Well, we bursted out of class
Had to get away from those fools
We learned more from a 3-minute record, baby
Than we ever learned in school
Tonight I hear the neighborhood drummer sound
I can feel my heart begin to pound
You say you're tired and you just want to close your eyes
And follow your dreams down

Well, we made a promise we swore we'd always remember
No retreat, baby, no surrender
Like soldiers in the winter's night
With a vow to defend
No retreat, baby, no surrender

Well, now young faces grow sad and old
And hearts of fire grow cold
We swore blood brothers against the wind
Now I'm ready to grow young again
And hear your sister's voice calling us home
Across the open yards
Well maybe we'll cut someplace of own
With these drums and these guitars

'Cause we made a promise we swore we'd always remember
No retreat, baby, no surrender
Blood brothers in the stormy night
With a vow to defend
No retreat, baby, no surrender

Now on the street tonight the lights grow dim
The walls of my room are closing in
There's a war outside still raging
You say it ain't ours anymore to win
I want to sleep beneath
Peaceful skies in my lover's bed
With a wide open country in my eyes
And these romantic dreams in my head

Once we made a promise we swore we'd always remember
No retreat, baby, no surrender
Blood brothers in a stormy night
With a vow to defend
No retreat, baby, no surrender"