giovedì 30 ottobre 2008

Venice Marathon 2008...Out There




Il suono della sveglia, venerdì mattina, è rimasto nient’altro che un eco lontano…Avevo programmato l’ultima sgambata in vista della maratona di Venezia, la mattina prestissimo prima di prendere il treno che mi avrebbe portato nella città “galleggiante”ma, complice un po’di stanchezza fisica ma anche soprattutto una certa demotivazione mentale, mi sono girata dall’altra parte e ho preferito continuare a sonnecchiare ancora un’oretta. Questa defezione podistica mi ha però accompagnato durante tutte le 4 ore e mezza di treno che mi hanno separato dall’arrivo al Marathon Village nel Parco San Giuliano di Mestre dove ho ritirato il pettorale (F114) e curiosato tra gli stand che sono “ormai “sempre gli stessi. Quella corsetta insoluta mi era rimasta addosso come un fastidioso pensiero e volevo e dovevo farla. L’umore era ai minimi storici e avevo paura che,senza neppure uno scarico e dopo una settimana in cui non avevo corso praticamente mai, la maratona, che già affrontavo senza alcun obiettivo di tempo e di entusiasmo, si sarebbe rivelata poi un gioco al massacro. Ho raggiunto l’albergo dietro Piazza San Marco quando già il sole stava calando a picco nell’acqua che circonda questa città tanto magica quanto, a volte, ostile. Il primo impulso è stato quello di gettarmi sul letto e restarci fino all’indomani mattina ma sapevo che la mia testa non avrebbe retto a un’ennesima sopraffazione della pigrizia e quindi mi sono fatta forza e in 5 minuti ero già sulla Riva degli Schiavoni assaggiando, con due giorni di anticipo, alcuni dei famosi 14 ponti che caratterizzano gli ultimi km della maratona. Certo affrontarli a gambe fresche è una sensazione meravigliosa, soprattutto se a fare da contorno ci si mettono un tramonto spettacolare e la favola surreale dei palazzi e dei campielli veneziani. Avevo deciso di correre a ritmo blando per non più di 40 minuti ma poi i giardini della Biennale, i numerosi runners incrociati, gli scorci del quartiere Castello e le luci del Lido che si stagliavano in lontananza mi hanno ipnotizzato in quello che è per me il gesto atletico più affascinante che esista, per quasi un’ora e 15 minuti. Ma stavo benissimo, le gambe giravano che era un piacere, il fiato regolare, la mente leggera. Proprio l’iniezione di fiducia d cui avevo bisogno!
Sono tornata in albergo e dopo una bella doccia calda mi sono addentrata tra i le calli e i sotoporteghi del rione Dorsoduro dove ho cenato in un succulento ristorantino di pesce totalmente incurante della dieta da sportiva. Ormai avevo abbandonato qualunque velleità di risultato rispetto a questa gara che vedevo solo ed esclusivamente come propedeutica alla maratona di Firenze il 30 novembre prossimo. C’è da dire che in questi due mesi di preparazione non è che abbia fatto tanti allenamenti e soprattutto l’unico vero lunghissimo da aprile è stato la 30 Km di Ostia. Quindi non avevo proprio idea di come avrei potuto reagire al muro del 35esimo e questa cosa mi dava un grande senso d’irrequietudine unito al fatto che sarei stata completamente sola. A Venezia c’era anche Daniela mia grande amica dell’Elba e ottima corritrice ma era qui solo per farne un pezzo e senza obiettivi di ritmo e comunque la difficoltà maggiore era quella di riuscirsi a incontrare la mattina della gara. Con quasi 7000 partecipanti di cui più di 1500 stranieri, la Maratona di Venezia è ormai un appuntamento importante per atleti anche di altissimo livello che vengono a godersi le bellezze paesaggistiche e le difficoltà tecniche di un percorso che ha letteralmente due anime.
Il sabato è stato interamente dedicato alla visita della Biennale di Architettura, per me un evento ormai immancabile, che si è rivelata decisamente superiore alle mie aspettative. Sono uscita la mattina alle 9.30, dopo un’abbondante colazione in cui ho iniziato finalmente a caricare carboidrati (ma anche tanti grassi!), e ho camminato ininterrottamente tra i padiglioni dei giardini, l’arsenale, la maestosa chiesa di Santa Maria ai Frari, Palazzo Pitti, Campo Santo Stefano (suggestiva pausa pranzo sempre assolutamente non in linea con una sana alimentazione:mozzarella di bufala e pomodori), il quartiere dell’Accademia, il Ponte di Rialto, San Zaccaria e piazza San Marco, fino alle 18 quando con i piedi gonfi e i polpacci duri come marmo sono rientrata in albergo per riposarmi un po’ convinta di aver fatto la più grossa “ca…” che si posa immaginare prima di una gara così lunga. Però Venezia è Venezia…La cena è stata un momento piacevole e di relax: pesce alla griglia, patate bollite e biscottini. Poi la crisi. Rientrata in albergo sono stata colta a sorpresa da un disagio fisico tutto al femminile assolutamente imprevisto…A quel punto non ero neppure più sicura di presentarmi la mattina seguente sul nastro di partenza. Mi sono addormentata nervosamente e con la grinta di un bradipo.
Alle 5, tra dolori di pancia fortissimi e una lauta colazione che non riuscivo proprio a mandare giù, è iniziata l’avventura. Il viaggio per raggiungere Strà, la cittadina da cui parte la maratona, è lungo: 30 minuti di vaporetto e poi quasi un’ora di autobus in piedi stretti come sardine. Per fortuna la sorte ha voluto che io mi ritrovassi accanto a un delizioso medico chirurgo milanese che affrontava la sua prima maratona. I medici hanno sempre questo approccio tranquillo e lucido alle gare e, credo, in parte mi abbia trasmesso un po’di quel sano distacco emotivo di cui avevo proprio bisogno. I crampi allo stomaco però, quelli sono rimasti, via via sempre più violenti, le gambe gonfie…Ormai ero sicura: a 40 minuti dalla partenza avevo deciso di fare solo una parte della gara in tranquillità e poi ritirarmi. L’ennesima delusione, lo so. Ma ero proprio fiacca e demotivata. Sono entrata nelle gabbie di partenza con parecchio anticipo; ero molto avanti perché avevo un pettorale basso e mi sono ritrovata tra i pacemaker delle 3ore10minuti. Spostarsi indietro era impossibile così ho deciso di far passare la fiumana veloce e aspettare il gruppo di coda. Ovviamente con Daniela non siamo riuscite a trovarci ma confidavo di riuscire ad agganciarla in gara…me illusa…Allo start, tra musiche, urla e in bocca al lupo, l’ondata anomala di runners è partita e io sono stata trascinata senza riuscire ad aspettare i più lenti. Il ritmo iniziale è stato quindi velocissimo e mi sono ritrovata al quinto km che andavo a una media di 4’40” assolutamente senza senso. Ma stavo, tutto sommato, bene e pensando di farne solo metà ho deciso di non rallentare. A quel punto,levata ogni velleità di arrivo, ero molto più leggera e sollevata e ho lasciato girare le gambe che, effettivamente, andavano che era un piacere a guardarle. Il paesaggio intorno, tra le rive del Brenta e le Ville Palladiane, poi era talmente mozzafiato che sono arrivata al 21esimo senza neppure accorgermene grazie anche alla tanta gente intorno che faceva il tifo con grande gioiosità. E incredulamente ho passato il crono della mezza in meno di 1ora40minuti. A Torino ci ero arrivata in 1ora43 minuti quindi ero sicura che da lì a breve sarei entrata in crisi. Ma ero serena, nessuno mi obbligava a finire e così ho deciso di continuare finchè ne avessi avuto nelle gambe. E quelle andavano veloci, senza fatica. Da quel punto si entra nella zona di Porto Marghera e lì soffia un vento forte e contrario e il paesaggio si fa desolante…Ma continuavo a tenere un ritmo di 4’45”senza alcuna difficoltà. Mano a mano che il percorso si snodava mi accorgevo di superare sempre più donne e soprattutto della grande quantità di podisti che via via stava rallentando o addirittura camminando. L’entrata nel Parco San Giuliano ha rappresentato il primo e unico piccolo momento d’insicurezza: ci si arriva al ventinovesimo Km e si devono percorrere tre giri da 1 Km di saliscendi continuo. Venezia da lì sembra ancora un miraggio, il caldo iniziava a farsi sentire così come una leggera stanchezza mentale. Però fortunatamente anche lì la parte del leone l’ha fatta la gente e soprattutto le centinaia di bambini che ci hanno incitato a non mollare! A quel punto arrivare fino alla fine mi sembrava la cosa più naturale del mondo…ero ancora freschissima e improvvisamente motivata. Il tempo era sbalorditivo, se avessi continuato a quel ritmo avrei chiuso in 3ore 22minuti siglando il mio personale su un percorso che è considerato a furor di popolo abbastanza lento. Poi è arrivato il Ponte della Libertà, il famigerato muro quasi per tutti: 4 km lunghissimi e infiniti con il vento a sfavore e il campanile di San Marco lontanissimo a ricordare che al traguardo mancano ancora quasi 10 km…Personalmente a me questo rettilineo sospeso sulla laguna è servito per innescare quello strano meccanismo di alienazione che riesco ogni volta a ricreare quando “sono” nella gara. Ho staccato tutto e, senza neppure provare a forzare, mi sono tenuta quello che avevo. Lì i ritiri sono stati tantissimi.E’ impressionante come la metà esatta degli atleti presenti camminasse invece di correre. Se ci arrivi stanco è la fine. A Venezia ci torni in gondola! E poi eccola…la salita di piazzale Roma e giù verso la riva che costeggia le Zattere. Da lì la gara è finita. Sprint per fare una volata finale non ne avevo anche perché mancavano ancora i 14 ponti, però stavo alla grande e mi sono fatta portare da queste gambe ingombranti ma forti come il marmo che ho. Quante volte guardandole allo specchio le ho odiate:perché sembrano quelle di un uomo, perché sono toste, muscolose, aggressive. E invece ecco che adesso sono qui a ringraziarle e a concedergli un po’ di meritato riposo. Grazie gambe mie perché tante volte quando la mia testa gridava basta siete state proprio voi a trascinarmi fino alla fine e a regalarmi quella sensazione irripetibile di aver tagliato l’ennesimo traguardo.
Poi arriva la curva della Salute e…eccolo lì…surreale e imponente il ponte di barche che conduce a Piazza San Marco. A quel punto è la folla, letteralmente, che grida e incita e capisci di avercela fatta: i ponti scorrono incomprensibili e faticosi uno dopo l’altro, ma non senti più niente. Spingi il cuore e vai fino alla fine lungo quella riva sul mare d’inverno che è lì solo per te. Vedo mio padre quando mancano 200 metri, percepisco la sua faccia incredula. Neanche lui si aspettava una simile prestazione. L’ultimo allungo e taglio il traguardo con le braccia al cielo. 3ore25minuti.
Doveva essere una débacle, si è tramutato in un successo. Complimenti a me perché riesco sempre a trasformare delle brutte sensazioni in qualcosa di positivo. Metto da parte paure e insicurezze e mi godo la magia della corsa. Quella magia che ritrovo ogni volta che infilo le scarpette la mattina all’alba senza sapere quando e dove arriverò.
Dopo è stata una grande festa…Daniela ha chiuso accompagnando un suo amico ed è stata una gioia poterla rivedere e riabbracciare. Ho incontrato anche Roberto che ha centrato uno strepitoso 3ore13min!Poi la medaglia, i complimenti, la doccia, la valigia, un ultimo giro tra le calli di questa città che profuma d’antico e via…di nuovo verso casa. Per la prima volta senza neppure un briciolo di stanchezza né un dolore né quella strana sensazione di galleggiamento che si ha sempre dopo una gara tanto lunga e impegnativa. Zero. Pazzesco…e su questo fioriscono i dubbi: ma allora fino a dove può spingersi il mio fisico?Dov’è il limite?
Lunedì mattina già correvo, un leggero scarico giusto per dare un po’di ossigeno alle gambe che giravano come ruote impazzite morbide, veloci, voraci. Adesso la mia testa è proiettata alla 100 km…sabato 8 novembre l’Ultramaratona degli Etruschi. Ci provo, cerco di farne almeno un pezzo per vedere com’è abbattere quel muro che fino a poco tempo fa mi sembrava invalicabile.
La chiave è tutta in un’alchimia incomprensibile di forza, concentrazione e, per quel che mi riguarda, straordinaria passione per la corsa. La strada sarà lunga ma adesso non fa più paura. Ti ho ritrovata ancora più bella e generosa di quando ti avevo lasciata. E ti dedico una canzone.


“A te che sei l’unica al mondo
L’unica ragione per arrivare fino in fondo
Ad ogni mio respiro
Quando ti guardo
Dopo un giorno pieno di parole
Senza che tu mi dica niente
Tutto si fa chiaro
A te che mi hai trovato
All’ angolo coi pugni chiusi
Con le mie spalle contro il muro
Pronto a difendermi
Con gli occhi bassi
Stavo in fila
Con i disillusi
Tu mi hai raccolto come un gatto
E mi hai portato con te
A te io canto una canzone
Perché non ho altro
Niente di meglio da offrirti
Di tutto quello che ho
Prendi il mio tempo
E la magia
Che con un solo salto
Ci fa volare dentro all’aria
Come bollicine
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei giorni miei
A te che sei il mio grande amore
Ed il mio amore grande
A te che hai preso la mia vita
E ne hai fatto molto di più
A te che hai dato senso al tempo
Senza misurarlo
A te che sei il mio amore grande
Ed il mio grande amore
A te che io
Ti ho visto piangere nella mia mano
Fragile che potevo ucciderti
Stringendoti un po’
E poi ti ho visto
Con la forza di un aeroplano
Prendere in mano la tua vita
E trascinarla in salvo
A te che mi hai insegnato i sogni
E l’arte dell’avventura
A te che credi nel coraggio
E anche nella paura
A te che sei la miglior cosa
Che mi sia successa
A te che cambi tutti i giorni
E resti sempre la stessa
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei sogni miei
A te che sei
Essenzialmente sei
Sostanza dei sogni miei
Sostanza dei giorni miei
A te che non ti piaci mai
E sei una meraviglia
Le forze della natura si concentrano in te
Che sei una roccia sei una pianta sei un uragano
Sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano
A te che sei l’unica amica
Che io posso avere
L’unico amore che vorrei
Se io non ti avessi con me
a te che hai reso la mia vita bella da morire, che riesci a render la fatica un immenso piacere,
a te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande,
a te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più,
a te che hai dato senso al tempo senza misurarlo,
a te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore,
a te che sei, semplicemente sei, sostanza dei giorni miei, sostanza dei sogni miei...
e a te che sei, semplicemente sei, compagna dei giorni miei...sostanza dei sogni miei...”