lunedì 28 gennaio 2008

Il giorno della memoria


“e anche questa ce la siamo levata dalle…” e invece no perché la Tre Comuni è una gara, nonostante la difficoltà tecnica e la lunghezza, veramente formativa.
Ieri mattina alle 7 , con una temperatura esterna quasi polare, ero sotto casa di Roberto pronta per affrontare la mia prima maratonina tutta in salita. Avevo dormito poco la notte precedente e mi sentivo addosso quella strana sensazione di euforia e stanchezza che si ha sempre quando si sta per intraprendere un’impresa che forse non è proprio alla nostra portata.
Abbiamo aspettato circa quindici minuti che arrivasse tutta la squadra e poi siamo saliti in macchina alla volta di Nepi. Ero l’unica neofita della manifestazione e quindi ho ascoltato attentamente i consigli dati dai miei compagni anche se, in realtà, dentro di me già sapevo che a nulla sarebbero valsi qualora la crisi muscolare fosse sopraggiunta a spezzare il ritmo.
In meno di quaranta minuti eravamo nella piazza del piccolo borgo medievale già gremita di gente; un folto numero di partecipanti si stava apprestando a svolgere quelli che sono i cosiddetti “preliminari” che caratterizzano qualsiasi tipo di evento podistico. Ritiro dei pettorali, posizionamento del microchip, riscaldamento muscolare con creme e stretching, suggerimenti tecnici, regolazione del cronometro e tanta tantissima eccitazione contagiante. Devo ammettere che nonostante il freddo fosse veramente pungente e il piede ancora poco sicuro nell’appoggio, mi sentivo estremamente rilassata e felice.
Il momento dello start è sopraggiunto all’improvviso mentre ancora stavo stringendo i lacci delle scarpe e ripassando mentalmente la strategia di gara, ammesso che ne avessi una.
Mi sono trovata quindi quasi travolta dalla folla che partiva e ho iniziato a correre. La salita comincia dopo neppure 100 metri e, tranne qualche brevissimo tratto in discesa, non finisce praticamente mai. La caratteristica principale di questo tracciato è quella di essere circolare: da Nepi si passa per i deliziosi paesini di Civita Castellana e Castel Sant’Elia per poi ritornare indietro. Ciò che rende, nonostante la complessità, tanto speciale e amata la Tre Comuni è il suo essere una gara prevalentemente “visiva”. Il paesaggio circostante che scorre chilometro dopo chilometro è particolarmente suggestivo: le cime innevate svettano all’orizzonte mentre la strada prosegue accarezzata dal tufo e dai boschi rigogliosi. Forse proprio questa sua virtù paesaggistica estraniante ha fatto sì che mi ritrovassi, dopo 11 chilometri, praticamente avanti a quasi tutti gli altri compagni di squadra, segno evidente che a breve avrei pagato molto cara questa leggerezza. Spingere all’inizio è un po’ uno dei tratti distintivi del mio approccio alle gare: tendo quasi sempre a correre quasi un minuto al chilometro in meno, rispetto a quello che sarebbe il mio passo medio, per almeno metà gara per poi ritrovarmi a fare i conti con un esaurimento di energie prematuro. Si chiama inesperienza, dicono i veterani. Mi ero ripromessa questa volta di non cadere nello stesso errore ma la facilità con cui giravano le gambe all’inizio e le suggestioni esterne erano tali che, senza neppure accorgermene, avevo intrapreso una media di 4’50” al Km che sono tanti, per me, persino in un tracciato più breve e meno tecnico.
E poi eccolo lì, imponente e interminabile, il famigerato tornante del 12esimo chilometro. Una salita ripidissima lunga quasi fino al traguardo. Quasi tutti, arrivati a quel punto o si mettono a camminare o cominciano a corricchiare con un ritmo pressochè ridicolo. Arrivare in cima è veramente un’impresa…io ho fatto quello che potevo attanagliata da mille dolori ai quadricipiti e fitte al fegato fortissime. Ho corso gli ultimi quattromila metri quasi piegata in due perché non riuscivo a respirare stando dritta e le gambe non davano cenni di vita però nonostante tutto mi piaceva ancora essere lì, nelle bellezze della campagna viterbese in una mattinata gelida di gennaio che porterò a lungo nella memoria.
Quando siamo giunti a ridosso dell’arrivo avevo già ripreso a correre veloce da qualche minuto e sono riuscita a fare un’entrata nelle due ore abbastanza dignitosa recuperando, anche se in maniera quasi irrilevante, un po’ dell’imbarazzante ritardo accumulato.
Ci siamo ritrovati tutti di nuovo lì, stremati e felici, in quella piazza che per un giorno l’anno accoglie teneramente coloro i quali nonostante il freddo e la fatica non smettono e non rinunciano a lasciare i propri passi sulla strada per raggiungere un altro traguardo.
Perché la vita è un brivido che vola via…